QUANDO E’ UTILE CHIEDERSI “PERCHE’?”

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strade con bivi, perchè?

Il perchè nelle domande può avere varie funzioni:

  • Funzione esplorativa e conoscitiva, ad esempio in filosofia e scienze. Perché il sole sorge? Perché la terra gira.
  • Funzione conoscitiva del comportamento altrui per copiarlo. Perché fai yoga? Perché mi rilassa. Allora forse lo potrei fare anch’io!
  • Funzione analitica. Perché abbiamo perso? Perché sono in questa situazione? Perché le cose mi sono andate tutte storte! Perché ti sono andate tutte storte? Etc. etc.

Concentriamoci sulla funzione analitica, che è quella più insidiosa.

Il perché focalizza la mia attenzione sulle cause, mi porta ad indagare sulle origini del problema, che può anche essere utile per la sua risoluzione.

Ma se non ho la forza mentale e la consapevolezza delle sue insidie, resterò intrappolato nella catena dei perché e quindi nel passato.

Ad una domanda perché si risponde con un perché che stimola un’altra domanda con un perché, etc. etc.

Esempio:

Perché la mia squadra sta perdendo? Perché stiamo giocando male.

“Perché stiamo giocando male?” “Perché non riceviamo”.

“Perché non riceviamo?” “Perché siamo distratti!”

“Perché siamo distratti?” “Perché c’è troppo rumore in palestra, ecc.”.

Qui siamo entrati in un vicolo cieco di perché, potremmo andare avanti con una infinità di perché, sento puzza di alibi.

Continuo a restare con la testa su quello che è successo, continuo a non guardare in avanti, al superamento del problema.

È un dialogo interno insidiosissimo perché ha tutte le apparenze di una ricerca e di una analisi, e invece mi zavorra e mi appesantisce sempre di più.

Non mi sono avvicinato di un millimetro alla soluzione del problema, anzi sono rimasto nel problema con in più un senso di frustrazione e inadeguatezza.

Il mio focus è rimasto fermo sul problema “perché stiamo perdendo?”.

Il perché ha il senso del motivo:

“Perché perdiamo?” “Perché siamo scarsi!”

Se invece ci chiediamo:

“Come perdiamo?”;

“Cosa è che ci fa perdere? “;

“Quali sono i fattori che mi hanno fatto perdere? “.

Vedete, sentite come queste domande sono più focalizzate sul processo e il passo verso la ricerca delle modalità per superare il problema è breve.

uomo pensieroso davanti a un muroQueste tre semplici domande:

QUALI SONO I FATTORI CHE ….

COSA POSSO FARE PER ………….

COME POSSO FARE PER …………

che suggeriscono azione, mi focalizzo sulla soluzione!

Esempio:

“Perché i ragazzi non mi ascoltano?”

Abbiamo appena detto che questa è una domanda chiusa e si presta alla costruzione di alibi.

Infatti posso rispondermi: “perché sono maleducati”, oppure “perché sono distratti”.

Potrei anche arrivare a rispondermi “perché non li interesso”, ma se continuo nel vicolo cieco dei perché non ne esco.

Devo cambiare strada, spostarmi su quella del “Cosa provoca la disattenzione dei ragazzi?”

Oppure “Quali sono i fattori che mi hanno portato ad avere questo problema ovvero i ragazzi non mi ascoltano?”.

Quando sono distratti ?”

”Parlo in modo poco chiaro? “; “Mi dilungo troppo?”; “Si distraggono?”

Come posso catturare la loro attenzione quando parlo?”

Stiamo cercando di analizzare tutti i fattori che pensiamo possano contribuire alla formazione del problema, dopodiché scarteremo quelli che non sono sotto il nostro controllo o lo sono solo in minima parte.

A seguire le domande potenti che abbiamo visto prima cosa, come posso fare per …. in questo caso far si che i ragazzi mi ascoltino?

Iniziare una domanda con un perché è come ipnotizzare il tuo interlocutore o te stesso, inducendolo o inducendoti, a rispondere con un altro perché, a cui non si potrà che aggiungere un’altra domanda con perché creando così una inutile catena.

È importante chiedersi il perché delle cose ma attenzione all’ambito in cui lo usi.

Puoi restare intrappolato in questa ricerca senza rendertene conto!

Via il perché e spazio a COME/COSA/QUANDO.

Se usate senza la opportuna consapevolezza, le domande che iniziano con PERCHÉ’ creano dubbi, incertezze, debolezza psicologica e bloccano l’attenzione sul problema e non sulle opportunità.

Se poi le usiamo nel nostro dialogo interno, nei momenti difficili, possono diventare distruttive.

“Perché proprio a me?”; “Perché mi accade questo?”; “Perché tutto mi va male?” (perché + generalizzazione = dialogo interno depotenziante da Oscar!)

Il bello è che la nostra mente, che è stupenda, ma è anche stupida a volte, si darà da fare per trovare una risposta.

E pensate che non riuscirà a trovare almeno un motivo perché sia giusto che accada proprio a me?

Per avere risposte utili devi farti domande utili e funzionali.

Ecco perché noi mental coach battiamo sulla consapevolezza, perché questa è l’unico vero strumento che abbiamo nella comunicazione.

  • Consapevolezza di quello che diciamo
  • Consapevolezza di quello che vogliamo dire
  • Consapevolezza di quello che il nostro interlocutore recepisce

E solo se mi rendo conto che qualcosa non va, posso essere in grado di cambiare, adattare, calibrare meglio la mia comunicazione.

Posso ammettere, se il caso, di avere sbagliato piuttosto che perseverare in un atteggiamento che ho la sensazione non sia utile.

Anche questo argomento viene ampiamente trattato nel nostro progetto “ALLENARE GLI ALLENATORI AD ALLENARE” rivolto agli allenatori e alle Società sportive.

Articolo di Bruno Sbicego e Antonella Brugnoli

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