
Ci sono parole e ci sono parole che fanno la differenza.
“Evocare un frame lo rinforza”, dice George Lakoff.
Che cos’è un frame?
In parole semplice un frame è una scena che ci immaginiamo sentendo una parola.
Se io, allenatore, parlo ai miei atleti e uso parole quali, per esempio:
“momento pericoloso”, “problema”, “crisi”, “errori”, “vi vedo nervosi”,
ecco che queste parole vanno ad evocare proprio un frame, in questo caso negativo.
È bene ricordare che la nostra mente ragiona per immagini.
Infatti se io dico “palla”, nessuno vedrà nella sua mente la parola palla, vedrà una sfera, di colore, di dimensioni e di forma diverse.
Quindi se io dico ad un mio atleta o alla mia squadra: “Ok raga, dopo l’ultima gara abbiamo dei problemi”.
Quale sarà, secondo voi, la sensazione e l’effetto che faccio provare ai miei giocatori?
Sicuramente non sarà niente di buono, saranno immagini solo negative, di loro che sbagliano, di loro che perdono!
Se invece dico loro: “Ok raga, dopo l’ultima partita abbiamo alcune situazioni di gioco in cui dobbiamo ancora lavoraci su”, sicuramente non viene percepita come una immagine positiva, ma nemmeno totalmente negativa.
Sarà un’immagine in cui si vedono lavorare, allenarsi per migliorarsi.
Il concetto base è lo stesso, ma la percezione è diversa.
Mi è capitato, nella mia carriera di allenatore, di sentire molte volte colleghi che, durante i time out, facevano l’elenco di tutti gli errori che la squadra aveva commesso fino a quel momento.
Oppure dire frasi del tipo:
“no, non ci siamo”,
“stiamo andando male”,
“così non va”,
“sta andando veramente tutto male”,
“stiamo facendo un macello”,
“è un disastro”,
“stiamo rovinando tutto”.
Solo cose negative e generalizzate, magari dette con l’intenzione di scuotere gli atleti.
Questa comunicazione linguistica quasi mai fa la differenza in positivo, molto spesso la fa in negativo.
Può andar bene per alcuni atleti, ma non tutti si sentono stimolati da un atteggiamento così.
Se un atleta è già giù e io, allenatore, lo affosso, cosa ho ottenuto?
Qui diventa importante la conoscenza dei propri atleti.
Un esercizio utile da fare per voi allenatori è quello di ascoltarvi quando parlate, per capire quali sono le parole che usate più spesso nei momenti di difficoltà della squadra.
Quelle parole che ho usato negli esempi, sono “tossiche”, perché agiscono sul cortisolo, che è l’ormone dello stress e, in un momento di difficoltà, avere tanto cortisolo in circolo impedisce all’atleta di attingere al suo meglio, con il rischio che vada in sequestro emozionale.
Cosa faccio allora?
Utilizzo altri termini, oppure ridefinisco quei termini, uso parole che fanno la differenza. Come?
Per esempio:
“problema” lo trasformiamo in “situazione impegnativa”,
“crisi” lo facciamo diventare “sfida”,
“disastro” lo sostituiamo con “confusione”,
sentite come suonano meglio, che l’impatto è proprio emozionale, che le immagini prodotte da queste parole sono diverse.
- Dire ai propri atleti: “Raga c’è una situazione impegnativa da risolvere”, anziché “Raga abbiamo un problema”, è la stessa cosa, ma è diverso, perché chiama grinta, chiama all’azione.
- Dire: “Siamo in crisi” è una cosa, dire “Raga c’è una bella sfida da affrontare” è un’altra, perché la sfida ti sprona a muoverti, a fare qualcosa.
- Se durante un time-out dite: “Stiamo facendo un disastro” è diverso che dire “Raga c’è confusione in campo, rimettiamo ordine”.
Ecco la differenza, queste sono parole che fanno la differenza.
Quindi, allenatori, allenatevi a controllare se nel vostro linguaggio ci sono parole “tossiche” o frasi che non sono utili ai vostri atleti e ridefinitele verso una comunicazione che evochi sensazioni più positive.
Vedrete come cambierà l’atteggiamento dei vostri atleti.
Anche questo argomento viene ampiamente trattato nel nostro progetto “ALLENARE GLI ALLENATORI AD ALLENARE” rivolto agli allenatori e alle Società sportive, se vuoi saperne di più clicca qui.
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