IL CICLO DELLO STRESS

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lavagna con scritta evidenziata performance

È molto interessante il ciclo dello stress anche ai fini della gestione degli stati d’animo.

Noi siamo abituati a dare a questo termine una valenza negativa, quando invece il problema non è nello stress ma nel come lo si gestisce.

Senza stress non ci sarebbe ad esempio lo sport agonistico, competitivo.

Senza stress non saremmo portati a mettere in gioco tutte le nostre risorse psicofisiche per svolgere un compito al meglio.

Ecco perché, per non ingenerare confusione, si preferisce parlare di eustress e distress.

L’eustress è adrenalina pura, energia, attenzione concentrata: ci permette di essere grintosi, volitivi, di avere una forza straordinaria.

L’energia si trasforma in passione, entusiasmo e sicurezza (produciamo adrenalina, noradrenalina, dopamina, endorfine, cortisolo q.b.).

Il distress invece è tensione, ansia, paura, insicurezza, le gambe tremano, si suda freddo, mal di pancia, si va in sequestro emotivo, (produciamo cortisolo, cortisolo, cortisolo…).

In entrambi i casi vi è un grosso accumulo di energia, il problema sta nel dove viene indirizzato.

La discriminante sta nel tipo  di rappresentazioni interne a cui noi associamo i nostri pensieri.

Nell’eustress vengono associati pensieri e rappresentazioni mentali positivi, produttivi, che inducono emozioni in grado di portare l’individuo verso lo stato di grazia, la peak performance.

Quando vengono associati alla situazione stressogena, quindi pensieri negativi e rappresentazioni interne disfattiste e fallimentari, creiamo il terreno fertile per il distress e le emozioni distruttive che si produrranno porteranno ad azioni negative.

Inoltre il perdurare di questa situazione, ovvero l’incapacità da parte dell’individuo di staccare la spina, ad esempio quando si torna a casa la sera dal lavoro, provoca il mantenimento di livelli alti di cortisolo anche la sera, con conseguente difficoltà nel dormire, stanchezza il giorno successivo che prelude ad una nuova giornata stressante.

Se non diamo all’organismo giusti tempi di recupero, con conseguenti periodi di abbassamento del livello di cortisolo, a lungo andare il corpo va in esaurimento, perché non riesce a far fronte alla continua richiesta di questo ormone, bloccandone la produzione, con conseguente stato di malessere fisico e psichico.

Il perdurare di alti livelli di cortisolo nel sangue ha conseguenze, a lungo termine, anche sulla salute generale quali ipertensione, disturbi al sistema cardiovascolare, debilitazione del sistema immunitario con conseguente esposizione a malattie e infezioni.

Infatti, in neuropsicologia si parla di AROUSAL, termine inglese che significa eccitazione, risveglio, inteso come lo stato di attivazione fisica e mentale di una persona che deve affrontare una sfida in qualsiasi campo, nel caso nostro nell’ambito sportivo.

grafico aurosalCon l’aumentare del livello di Arousal aumentano vigilanza e attenzione, i muscoli si attivano preparandosi allo sforzo, cuore e polmoni si preparano al maggiore dispendio energetico.

Dal grafico si vede come quando l’Arousal è basso, il livello di performance è basso perché c’è poca attenzione e concentrazione, poca attivazione fisica.

Nella parte centrale che corrisponde alla fase di eustress, si arriva all’attivazione ottimale che consente la peak performance.

L’atleta sente la giusta tensione muscolare, la sua postura è adatta alla prestazione, le attività del cervello sono orientate alla prestazione, i sensi sono focalizzati solo su quello che serve, senza distrazioni, il dialogo interno è potenziante, si va verso lo stato di flow, lo stato di grazia, quello stato di massima concentrazione per cui esiste solo il qui ed ora.

Tuttavia, se la tensione e l’attivazione continuano ad aumentare, l’atleta esce dalla zona di eustress per entrare in quella di distress, comincia a provare ansia, nervosismo, la tensione diventa irrigidimento, può andare in sequestro emotivo, il dialogo interno peggiora mano a mano che l’atleta ha la sensazione di perdere il controllo del proprio corpo, viene meno l’attenzione e tutto diventa fonte di distrazione.

Un consiglio: è importante tener conto di questo meccanismo durante il riscaldamento pre-gara.

Quando ero ancora solo allenatore, riuscivo a prevedere come sarebbe stato l’andamento dell’inizio della partita da come i miei ragazzi facevano il riscaldamento.

Se lo facevano con la giusta concentrazione, attenzione e progressione arrivavano al fischio d’inizio con la voglia di giocare negli occhi.

Viceversa, se durante il riscaldamento, come dicevo io, cazzeggiavano, scherzavano, giochicchiavano, arrivavano al fischio d’inizio o spompati o scarichi (guardavano il pubblico per vedere chi c’era e commentavano, avevano la postura da passeggiata, ridevano e scherzavano).

Tutto questo non lo si improvvisa ma lo si allena.

Questo è un argomento che trattiamo più ampliamente nel nostro progetto “ALLENARE GLI ALLENATORI AD ALLENARE”, una serie di incontri via WEB rivolto agli Allenatori e alle Società Sportive.

Clicca qui per avere informazioni sul suo svolgimento

Articolo di Bruno Sbicego e Antonella Brugnoli

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